Nel 2019, attraversavo l’Arsenale della Biennale di Venezia con una carissima amica. Come due anime profondamente unite, ci siamo lasciate trasportare istintivamente all’interno del percorso, allontanandoci e poi ritrovandoci inevitabilmente. Il nostro è stato un viaggio intenso, che ha toccato tante corde, dalle più profonde a quelle più superficiali, ma sempre con un substrato di reciprocità e sincerità.
Nell’arco di quella giornata, molte sono state le separazioni e le riunioni ed una di quest’ultime è avvenuta dinnanzi alle fotografie di un’artista visuale: Martine Gutierrez. Ciò che mi ha trattenuto, piuttosto a lungo, davanti ad esse è stato un senso di straniamento. Come se qualcosa mi trasportasse fuori strada, verso un sentiero nuovo, anche se non completamente sconosciuto. Le immagini apparivano perfettamente costruite, ma, allo stesso tempo, palesemente manipolate. Ed è proprio la manipolazione il tema centrale, finalizzata alla ricerca dell’identità personale e anche collettiva. L’artista visuale transgender è la protagonista assoluta, lavora prevalentemente su se stessa, sull’ambiente e sulle relazioni poiché ha come scopo l’indurre lo spettatore a mettere in discussione i propri schemi mentali di percezione della realtà. Essi sono prevalentemente basati su dicotomie rigide che fanno catalogare il mondo in base a dualismi semplificativi come, maschio-femmina, buono-cattivo, ragione-fantasia etc. Ma la realtà è molto più complessa ed eterogenea e l’artista ci guida attraverso il superamento di questi limiti mentali auto-imposti. Ci vuole abituare a mettere in discussione per poi approdare ad una identità genuina e sincera.
Oltre a se stessa, si aiuta facendo uso anche dei manichini che portano lo spettatore a riflettere e ad andare oltre l’apparenza.
Anche gli ambienti assolvono alla stessa funzione. Ciò che ricostruisce è un mondo da set cinematografico, artefatto, palesemente finto, tanto da creare nello spettatore un senso di claustrofobia malinconica che lo induce a fuggire, scappare per liberarsene. Si percepisce chiaramente una soffocante ed inequivocabile pressione delle convenzioni sociali. Trovandosi costretti in questo mondo artificiale, si è portati ad evadere e a percepire, finalmente, la realtà come più complessa e variegata. La caricatura (l’alterazione- esagerazione) di una finzione, pertanto, induce alla riflessione.
Il fine ultimo è la libertà di percezione e di pensiero che conduce alla genuinità dell’essere. La Gutierrez è una donna pragmatica ed ha capito di essere l’argomento più conveniente con cui lavorare sia per le proprie scelte personali, sia anche per le origini guatemalteche (oggi vive ed opera a New York). Al posto dell’archetipo tradizionale della donna bianca, bionda, con gli occhi azzurri, inserisce se stessa – la sua narrativa, il suo corpo per superare quella mancanza di visibilità per persone come lei provenienti da una comunità meticcia. Usa diverse forme artistiche, ma le più comuni sono le fotografie ed i video. La Gutierrez, in genere, scatta utilizzando un treppiede con un timer e un telecomando tanto piccolo da potersi nascondere all’interno dell’immagine. Di solito lo fa cadere a terra o addirittura lo tiene in bocca.
Diverse sono state le serie a cui si è dedicata:
Real dolls (2013), fotografie di piccolo formato a colori. L’artista gioca il ruolo di una bambola sexy. I luoghi sono ambienti comuni, ma le donne sono inconsuete, sensuali, provocanti. La protagonista diventa una bambola, un alter ego dell’essere umano, mostrandone quindi l’aspetto della solitudine, nella chiusura delle mura domestiche e relegata ad un ruolo stereotipato.
Line Ups (2014), che è tutta giocata sull’eleganza. Tutto è pregiato e ricco. I manichini sono abbigliati in maniera elegante. Il lusso viene palesemente ostentato poiché intende rimandare ad una ricchezza che in realtà non c’è. Alla vita creata a tavolino delle attrici hollywoodiane, delle pop star e delle top model. Tutto è ricreato per mettere in risalto solo alcuni aspetti della femminilità quali il fascino, la seduzione, la sensualità. E questi aspetti portano alla stereotipizzazione delle donne. Emergono, inoltre, alcune preferenze dell’artista per la moda, il cinema, la pubblicità degli anni Cinquanta, le Barbie, la musica delle Spice girls.
Girlfriends (2014), gioca, al contrario di Line Ups, su scene familiari in cui donne comuni sono riprese nelle attività quotidiane per indagare nella relazione tra donne. Gli scatti sono di piccolo formato ed in bianco e nero.
Indigenous women (2018). S’ispira a divinità azteche precoloniali, in particolare impersona Tlazolteotl (dea della lussuria), Xochiquetzal (dea della bellezza) e Chin (divinità maschile associata all’omosessualità). Un quartetto di ritratti dai colori vivaci, omaggio ai volti di frutta e verdura del pittore italiano del XVI secolo Giuseppe Arcimboldo. Ma guardando queste immagini, viene inevitabilmente in mente un’altra pittrice: Frida Kahlo, che si è reinventata senza sosta come donna orgogliosamente indigena.
Body en Thrall (2019). Simula una rivista di moda immaginaria con centoquarantasei pagine di moda simili a quelle di Vogue e con il carattere grafico ispirato alla pop art di Andy Warhol. Oltre a posare, ha anche scattato ogni foto, disegnato ogni vestito e disegnato tutti i layout. Tiene gli uomini fuori dal quadro: essi appaiono parzialmente; per esempio, si vede solo una gamba di pantaloni, aspetto che riprende dalle fotografie di Helmut Newton e gli abiti sono ispirati a Yves Saint Laurent. Rientra anche la campagna pubblicitaria del profumo Obsession di Calvin Klein e vi è una foto in cui la Gutierrez fa il broncio davanti alla telecamera in un bikini bianco, sostenendo nel pezzo di sopra due metà di un melone al posto del seno.
Ciò che vuole esprimere è sempre e unicamente la genuinità a cui arriva attraverso i travestimenti e le messe in scena a mo’ di pubblicità o quinte cinematografiche.
FaTima GiorDano
Martine Gutierrez, Real Dolls, 2013 (foto dal web)
Non conoscevo La fotografa ed è sempre un piacere leggere quello che scrivi! .Come al solito l’argomento è molto interessante ed analizzato, spiegato benissimo! Una personalità forte, che provoca con le sue foto, giocando con il rapporto complesso tra realtà ed apparenza. Molto interessante.
Grazie Antonella! Sì, l’artista riesce a catturare molto bene l’attenzione ed anche a provocare uno stimolo alla riflessione!