La sua fu una breve vita, della durata di appena trentatré anni, in un periodo storico piuttosto movimentato. Essa trascorreva come quella di un qualsiasi uomo d’armi dell’epoca, con accenti di dissolutezza e sfrontatezza, fino al sogno che gli cambiò la vita e lo portò alla conversione. Proprio da quel sogno cominciò il suo legame con la storia religiosa ed artistica del luogo in questione che, come il ciclo bretone, vide una spada incastrata definitivamente in una roccia. Fu proprio lui, Galgano, ad inserirvela per trasformare la sua arma in una croce. Ed essa è ancora lì, dal 1181, ed i nostri occhi possono ancora osservarla increduli, scettici ed ammirati.

La profonda religiosità di quest’uomo attirò, naturalmente, adepti che costruirono un eremo rotondo intorno alla spada e, successivamente, anche i monaci cistercensi che adottarono il culto di Galgano ormai divenuto santo.

L’incipit ed il filo conduttore dell’affascinante storia che si svolge sulla collinetta di Montesiepi e nella piana sottostante di Chiusdino, presso Siena, è il cavaliere Galgano Guidotti.

Arrivando, oggi, in quella piana di Chiusdino, ai piedi della nostra collinetta, si erge una presenza architettonica, spettrale e mistica. Un’isola maestosa nel nulla, fatta di forme pure, austere, dense. E’ ciò che resta dell’abbazia cistercense di san Galgano, che, ormai, vede al centro dell’interesse turistico, la chiesa, ma che prevedeva uno dei monasteri più importanti d’Italia.

Il complesso derivava dal modello madre di Citeaux, in Borgogna, e seguiva le regole e la pianta che erano state codificate a partire dal XII secolo. Oggi, aggirandosi in quei luoghi severi, vi si può leggere ed immaginare la vita dei monaci e degli ambienti che li accoglievano. Il chiostro, di cui si possono ammirare i resti, era il cuore attorno cui ruotava tutta l’organizzazione architettonica ed umana e, da esso, si poteva accedere a tutti gli altri ambienti. Da un lato vi si trovavano, una accanto all’altra, il calefactoriun, una sala con camino dove ci si poteva riscaldare, la cucina ed il refettorio. Quest’ultimo era un grande ambiente simile ad una chiesa con la presenza di un pulpito da cui un monaco leggeva i salmi durante i frugali pasti. Prima di potervi accedere, bisognava purificarsi al lavatoio da cui sgorgava acqua pura deviata da una sorgente. Da un altro lato, ancora visibili, lo scriptorium per la ricopiatura dei testi, il parlatorio e la sala capitolare. Al di sopra di essi, il dormitorio, una sala unica posta più in alto per scongiurare l’umidità con, ad una estremità, la latrina e, dall’altra, una scala che conduceva direttamente alla chiesa.

La sala capitolare, molto ben conservata, si presenta come un vano di forma quadrata , coperta da volta a crociera a tutto sesto. Molto ben illuminata poiché riceve la luce dal chiostro tramite un ingresso e finestre. In questa sala si riunivano tutte le mattine i monaci. Leggevano la regola e potevano riconoscere le proprie inadempienze rispetto ad essa o potevano accusare ed essere accusati dagli altri monaci.

Un altro lato era occupato dagli ambienti dei conversi, monaci che non sapevano né leggere né scrivere. Essi, che non avevano voce in Capitolo, si occupavano di lavorare la terra.

Ed infine, la regina di tutti gli ambienti, lei, la semplice ed, al tempo stesso, maestosa chiesa. Prodotto immenso dello spirito e dell’azione dell’uomo, è chiusa nei corridoi delle navate, scandite da imponenti sedici pilastri cruciformi con capitelli semplici. In fondo, l’abside con un doppio ordine di finestre monofore da cui entra una luce immacolata. Tutto è semplicità e austerità, come imponeva l’ordine, in uno stile di transizione tra il romanico ed il gotico. Camminando placidamente tra quelle mura, improvvisamente, sollevando il capo, arriva l’immensità del cielo per l’assenza del tetto. Tutto è pace e solitudine fino a quando, inaspettatamente, ti scorgi divertita nell’essere spiata da un grazioso faccino che sporge dalle granitiche foglie di un capitello. Un visetto paffuto e barbuto che percepisci complice e, allo stesso tempo, consapevolmente beffardo.

di Fatima Giordano

Spada nella roccia nell’Eremo di Montesiepi (foto dal Web)
Eremo di Montesiepi (foto dal Web)
Sala capitolare dell’Abbazia di san Galgano, Chiusdino (Si)
finestra della Sala capitolare dell’Abbazia di san Galgano, Chiusdino (Si)
Abbazia di san Galgano, Chiusdino (Si)
Interno dell’Abbazia di san Galgano, Chiusdino (Si)
Interno dell’Abbazia di san Galgano, Chiusdino (Si)
Interno dell’Abbazia di san Galgano, Chiusdino (Si)
Interno dell’Abbazia di san Galgano, Chiusdino (Si)
Interno dell’Abbazia di san Galgano, Chiusdino (foto dal web)
capitello dell’Abbazia di san Galgano, Chiusdino (foto dal web)