Una persona profondamente amante della vita in tutti i suoi aspetti, della sperimentazione e della conoscenza che non smise mai di celebrare l’intelletto, di denunciare la superstizione, l’ignoranza e l’oscurantismo, fu il pittore spagnolo Francisco Goya y Lucientes (Fuendetodos 1746 – Bordeaux 1828). Un uomo che, nonostante la provenienza familiare priva di mezzi economici, riuscì a farsi strada nella pittura, trasferendosi a Saragozza e a Madrid dove riesce ad accedere, nel 1780, all’Accademia di san Fernando e poi a divenire pittore del re Carlo IV nel 1786.
La gravissima malattia che lo portò alla sordità non arrestò le sue capacità e la sua immensa arte che continuò ad attraversare numerose tematiche e stili. Fu in grado di passare da una pittura ariosa e tiepolesca ad una visionaria con le famose pitture nere, in cui l’ombra sembra aver vinto definitivamente sulla luce. Per lui dipingere significava tirar fuori tutto quello che si ha dentro, arrivare sino alle profondità dell’inconscio, non nascondere nulla e farlo con la potenza e la violenza del colore, che divenne una prevalenza di ocra, terre, grigi, marroni e neri, e la forza dell’ombra.
In costante contatto con i circoli culturali più progressisti della Spagna, espresse nelle sue opere una denuncia della violenza, della repressione del potere e dell’ignoranza. Molte sono le pitture conosciute, ma percorrendo le gallerie del museo del Prado a Madrid, ha fatto breccia nel mio immaginario Volo di streghe, 1797-1798 forse perché inaspettata e per la sua grande potenza evocativa.
Una piccola tela ad olio che fa parte di una serie dedicata a questo tema e che aveva al centro l’interesse dell’artista per le tradizioni popolari spagnole a contenuto stregonesco ed esoterico e che fu acquistata dai duchi di Osuna. Esse erano destinate allo studiolo personale della duchessa all’interno della villa La Alameda nelle vicinanze della capitale.
Su di un fondo nero si levano tre ossute e mascoline streghe che trattengono a forza il corpo ancora vivo e reagente di un uomo che sta per essere divorato. Esse hanno in testa delle mitrie vescovili con le sagome delle fiamme destinate agli eretici che erano condannati ad essere bruciati sul rogo. E’ la denuncia della ferocia ed ottusità dell’inquisizione spagnola che spargeva terrore e repressione in nome di Dio, dell’ignoranza testimoniata dalla presenza dell’asino sulla destra e dell’indifferenza e superstizione rappresentate dai due testimoni: un uomo steso a terra prono che si tappa le orecchie per non sentire e un altro a testa china con un lenzuolo sugli occhi per non vedere e che a sua volta compie con le mani chiuse a pugno, un gesto scaramantico che lo possa salvare. Una rappresentazione trasfigurata della realtà che solo la ragione potrebbe svelare.
FaTima GiorDano