di Tima Dano
Artemisia (Roma 1593-Napoli 1656 ca) era una donna decisa, intraprendente ed anticonformista. Era la più dotata tra i quattro figli di Orazio Gentileschi sia nell’arte del dipingere che nell’arte imprenditoriale. Cominciò l’apprendistato presso il padre a dodici anni e, a diciassette, era già una pittrice che si muoveva tra il naturalismo caravaggesco e l’introspezione psicologica. Le sue donne, ritratte dal vero, esprimevano eroismo più che erotismo. La profonda umanità delle sue figure è presente fin dai primi passi e mai venne meno neanche quando, nei suoi lunghi soggiorni lavorativi fuori Roma, impreziosì i soggetti di colorismo, eleganza e decorativismo.
Di grande impatto è una delle sue prime opere: la Madonna col bambino (1611 ca, Roma, Galleria Spada). In essa, all’impianto disegnativo ed ai volumi michelangioleschi, si sposano la quotidianità e l’intimità che quasi annullano l’aspetto sacro e spirituale. Siamo catturati da una donna stanca ed esausta che, dopo l’allattamento, mentre sta per coprirsi il seno, si lascia rapire dal sonno. Protagonista è la relazione affettiva, resa ancora più struggente dalla carezza del bambino sulla guancia della madre. Il volto della Vergine è preso in prestito da Tuzia, la vicina di casa, che accompagnava la giovane pittrice in chiesa, poiché orfana di madre.
Una figura complice e traditrice che “serviva” anche da modella e che ritorna in altre opere come nella deliziosa Danae (1616) del Saint Louis Art Museum. Un olio su rame in cui Tuzia veste i panni della fantesca intenta a raccogliere nel grembiule le monete d’oro che piovono dall’alto. Artemisia interpreta il mito di Danae, fecondata da Zeus, in modo originale. La fanciulla, rinchiusa dal padre in una fortezza, è ripresa nel momento dell’abbandono e del godimento sensuale.
Nel 1612 Artemisia si reca a Firenze. Lì, finalmente, affrancatasi dalla figura paterna, impara a leggere e scrivere, ad apprezzare la danza, la musica, il teatro e la letteratura. Si trasforma in un’intellettuale. Ed è con questa nuova consapevolezza che ci tramanda la sua fisionomia nell’Autoritratto come suonatrice di liuto (1617-1618, Minneapolis, Curtis Gallery). In esso ci mostra il suo modo di essere e di percepirsi: una donna con il naso affilato, la fronte alta, le labbra carnose ed il seno turgido, avvolta in un elegante e raffinato abito azzurro bordato d’oro. La preziosa mise è completata dagli orecchini e da un ricercato turbante che a stento trattiene una vaporosa chioma. L’uso virtuosistico della luce filtra l’immagine attraverso una lente sensuale e sofisticata. Con uno sguardo assorto ci racconta di sé, di una persona combattiva e tenace che ha imparato a suonare il liuto con maestria e precisione e che, nonostante le difficoltà e le sofferenze, è riuscita a divenire una delle artiste predilette del granduca Cosimo II de’ Medici.