Nel sottotetto dell’abitazione in cui viveva con moglie, dieci figli e suocera, Johannes Vermeer (1632-1675) aveva creato il suo atelier. Un ambiente esposto a nord, di estrema sobrietà e semplicità, e da cui si poteva ammirare il campanile della Nieuwe Kerk nella cittadina di Delft. Lì, isolato e concentrato, si dedicava alle sue donne nell’arte. Delle trentasei opere pervenuteci, la maggior parte vede come protagoniste proprio loro, intente nelle attività quotidiane, all’interno di ambienti borghesi e tipicamente olandesi.
Lo spettatore è invitato ad osservarle silente, sentendosi a proprio agio da un punto di vista privilegiato e separato da esse solamente da un tavolo o un oggetto d’arredo. Le donne, però, non sono le protagoniste incontrastate di queste meravigliose ed ipnotiche immagini. Il loro fascino è amplificato dalla luce, che fonde in essa forma e colore divenendo sostanza della materia. Pertanto le finestre sono un elemento fondamentale e sono poste quasi sempre sulla sinistra dello spettatore. Contribuisce alla magia anche l’aver ridotto all’essenziale l’ambiente circostante e gli oggetti. Le ombre non sono nere o particolarmente scure, ma hanno un tono di colore più basso rispetto alla parte illuminata. La tavolozza è limitata a pochi colori, una decina, in cui prevalgono il giallo piombo-stagno ed il blu oltremare. Talvolta irrompe regale il rosso scarlatto. L’accoppiamento dei primi due è una delle sue cifre stilistiche, un ensemble felice che tanto prediligerà anche Van Gogh, due secoli dopo.
Amo tutte le tele di Vermeer, ma le mie preferite riguardano donne che provano piacere nello svolgimento delle attività quotidiane comeLa lattaia (1657 ca, Rijksmuseum, Amsterdam).L’ambiente che accoglie questa volumetrica donna di servizio, non è un salotto borghese, ma un andito della cucina. La scena, come tutte le altre, è relegata in un angolo per renderla intima e familiare. Una parte specifica della cucina, quella meno riscaldata, dove si conservavano i cibi più inclini alla deperibilità come latte e uova e dove si producevano burro e formaggio, gli alimenti tipici dell’Olanda dell’epoca. Lo si deduce da uno scaldino sul pavimento, dietro al quale s’intravede una piastrella con un amorino che scocca una freccia. Una piccolo spazio che presenta una finestra rotta ed un muro con chiodi e sbrecciature. Lì una domestica, una lattaia appunto, ci appare maestosa nella sua massa, amplificata da un punto di fuga basso, individuabile sulla sua mano destra. Essa, nella sua essenzialità, appare magnetica per la cura e l’attenzione che impiega nel gesto quotidiano di versare il latte nel “forno”, la pentola in cui si trova già del pane spezzettato. Questo gesto è pregno, denso e coinvolgente nonostante la sua semplicità. La luminosità colpisce parte del volto, della veste gialla e blu, del muro, degli oggetti metallici, del pane su cui l’artista applica la tecnica del “pointillisme”, gocce di colore puro in rilievo per dare l’effetto del rialzo della luce.
Un’altra è la merlettaia (1667, Museo del Louvre, Parigi). Una tela le cui piccolissime dimensioni non inficiano la grandiosità dell’evento e la penetrazione in esso. Una donna borghese, questa volta, la padrona di casa che si muove in un ambiente più signorile di quello della lattaia. Probabilmente, ella, nel tempo libero, si diletta nel lavoro del merletto, ornamento che fa parte integrante del vestiario e dell’arredamento degli olandesi. Questa volta l’ambientazione è quasi inesistente poiché vi è un punto di vista molto ravvicinato, che sfoca lievemente gli oggetti per spingerci verso altro. In primo piano, e quale consueto elemento separatore, vi è uno spigolo del tavolo su cui poggiano dei cuscini dai quali fuoriescono delle nappine sature di colore puro e un libro rivestito di pergamena, probabilmente una Bibbia che ci racconta un’altra virtù della donna. La principale, naturalmente, si coglie nella concentrazione dello sguardo e nell’operosità delle mani evidenziate dalla luce proveniente da una finestra suggeritaci sulla destra. Il volto è sereno, abituato al silenzio, allora come oggi. La sua quotidianità è felice, consapevole, incessante.
di FaTima GiorDano
Che meravigliosa descrizione Fatima, mi hai fatto viaggiare nel tempo e nello spazio. Grazie!
È un piacere leggerti. Grazie. ❤️
Ho visto entrambe le opere. Sono straordinarie, pur se raccontano l’ordinario, la vita semplice, che a nessuno importa, di due donne comuni. I loro gesti quotidiani divengono il cuore della riflessione di Vermeer. Che grande pittore, che geniale uso del pennello….❤️