Ritornare alle origini ti fa proiettare in una “confort zone” che placa ogni fonte di stress e di inquietudine. E’ come ritrovare un’antica routine che stempera e blandisce l’animo che poi, inevitabilmente, torna a ricercare novità e imprevisti.

Tale soffice cuscinetto coincide per me con alcuni luoghi ed abitudini, talvolta scontate. Innanzitutto, ritornare ad abitare il mio avito “maniero” partenopeo, un appartamento fronte città, Vesuvio e mare che spalanca i confini geografici e mentali e mi ricongiunge con il senso della realtà. La mia identità lì è satura e completa poiché si percepisce come in fieri dotata di radici e di un divenire.

Ma si sa, lo spirito ha bisogno di ogni tipo di nutrimento sia intellettuale che fisico. Poi, presto detto, mi ritrovo a ricercare luoghi e persone. Ciò che più mi piace è frequentare gli ambienti di lavoro artigiano della mia città ed, in particolare, quelli più vicini come la sarta e il ciabattino. Sono per me dei microcosmi accoglienti, luoghi d’intrattenimento, di scambio umano, di piacevole compagnia e, anche, a tempo perso, di lavoro.

“Mister Cucito” è la prima tappa di una modesta processione. Di mister, c’è poco o niente. Due donne sono il cuore pulsante del luogo e l’assenza maschile è totale. La titolare, napoletana, ha savoir faire, buon senso e rassegnazione mista a tenacia e inarrendevolezza. Olga, di nazionalità russa, è sarta magistrale, stazza ossuta e possente, capigliatura bionda a carciofo e gote rubiconde. Anch’essa fornita di tenacia, decisione e incrollabile assertività. I ruoli, nell’esercizio commerciale, sembrano ribaltati, soprattutto quando la foglia/ciuffo del carciofo si alza ed abbassa nell’imporre la sua volontà all’altra. Il risultato del cocktail è un equilibrio umano stabile e professionale che rende il piccolo luogo un passaggio continuo di persone che si conoscono di vista e che lì diventano, tra asole, cerniere, forbici, fili colorati, confidenziali e socievoli. Nessun limes tra accoglienza, laboratorio e camerino: un open space totale fisico ed umano. Il quartiere si trasforma in comunità.

Feudo d’incontri prevalentemente al maschile è, invece, la più ampia bottega del verecondo ciabattino. Il bischetto è relegato in un angolino marginale che lascia ampio spazio ad una fila di sedie, insolite presenze per la tipologia del luogo, e ad una lunga teoria di scaffali con esposta la più ricca e fantasiosa collezione di pantofole antidiluviane che, contrariamente alla mia pessimistica previsione, ha un opulento mercato. L’intrattenimento tipico dei caffè letterari parigini non manca neanche lì. Bisogna, però, insinuarsi nei discorsi che hanno per oggetto principale il Napoli e la Juve. Discorsi che si ripetono identici a se stessi in ogni angolo della città: dopo un’attenta e fiscale analisi dell’ultima partita giocata dal “ciuccio”, si passa al confronto con la squadra torinese. Detto fatto, inevitabilmente, vengono rivangati i tempi di Maradona e degli unici due scudetti faticosamente conquistati. E così queste due vittorie acquistano magicamente un potere atemporale e divengono protagoniste di un riscatto totale. Bisogna, pertanto, pazientemente deviare i sagaci opinionisti verso altri domini. Il tempo così trascorre placido e fruttuoso e l’ultimo saluto prima di accomiatarsi recita così:«Signurì (ma quant’è simpatico quest’uomo….?!), ‘a verità ??!E’ cchè sto lukdaun non ci voleva proprio!» Già….. ma è anche vero che ciò che è stato confinamento, chiusura e anche, a tratti, repressione, può tradursi in uno sguardo altro, capace di reinvenzione e rigenerazione, soprattutto lì, in quei luoghi, dove tutto è possibile, dilatato ed incantato.

Fatima Giordano