I giorni si accalcano quasi uguali, il tempo scorre inesorabile, lo stress divora la mia anima ed il mio corpo. Sono ingabbiata in un lavoro che non restituisce. Sotto nessun punto di vista. Sarò io, sarà lui, saremo entrambi. Sono bloccata nel tunnel che, però, ha sempre una luce nel suo fondo. È proverbiale e, quindi, sarà anche vero. La luce di questo maggio infinito si chiama Milano. E Milano è finalmente arrivata. Oops! Sono io ad esserci andata. Una volta espulsa da un rapido tubo metallico chiamato treno ad alta velocità, mi sono sentita come una bebè appena nata che apre gli occhi alla vita. Una vita nuova, anche se solo di 48 ore. Poco, ma meglio breve ed intensa. Anche se la preferirei da orsacchiotto, come disse qualche anno fa un mio compaesano! Il luna park ha subito spalancato i cancelli e le braccia della mia amica Giu mi hanno accolta ed iniziata ad una interpretazione ironica della realtà. Mi mancava! Insieme saliamo sulla giostra. Corriamo alla Pinacoteca di Brera. Lungo il tragitto un promoter vorrebbe vendermi un siero contorno occhi che risolverebbe tutti i miei problemi di stanchezza, occhiaie, rughe con incorporato l’elisir della felicità. Qualche anno fa ci sarei cascata con tutte le scarpe, ma la giovinezza e l’estetica non sono più una mia priorità. Lo è invece la bellezza del mondo, quella di cui posso godere attraverso il filtro dello sguardo e del pensiero. Giu ed io ci lanciamo a divorare sale su sale finché incontriamo un uomo di mezza età con capello alla Beethoven, completo grigio e scarpe polacchine, trascinate rumorosamente sul pavimento. Ha auricolari e libro. Sembra salmodiare. Si arresta in preghiera davanti a Luca Signorelli, Bernardino Luini, Vincenzo Foppa. Sembra ignorarci. Poi ci raggiunge in una piccola sala con ritratti. Da piccolo-borghesi, semi incolte e massificate, non resistiamo alla tentazione di un selfie con l’autoritratto di Sofonisba Anguissola. L’allampanato ci guarda indignato, non lo nasconde e lo esprime con un altisonante ed aggressivo “Oh” di riprovazione. Poi grugnisce e scappa! È stato l’incipit di un saliscendi di momenti felici, spensieratezza, cibo a profusione, ma anche milanesi indaffarati e sbrigativi. Ci sfrecciavano a sinistra come una macchina futurista e a destra come Willy il Coyote. Poi un ristoratore siciliano che entra in sintonia con i miei desideri culinari, una pizza a lievitazione di 36 ore fatta con grano di tipo 1. Fantastica racconto al marito baby-sitter di cani bassotti a pelo ruvido! Lui: “Ma che?! Vuliss ricr ch’a Milano sanna fà a pizza megl ch’a Napoli!!!”. Me lo immagino storzellare la testa da un lato all’altro con sguardo truce. No, per carità! Come risposta un mugugno. Un singulto cacofonico e ambiguo. Un’emissione imprecisa valevole sia per il sì che per il no. È chi ascolta a dargli la giusta interpretazione. Meglio non contraddire un marito che porta a spasso i miei cani per tre volte al giorno, fa il bucato, pulisce casa e corre all’occorrenza dalla suocera in preda a deliri ossessivi compulsivi. Così mi rimmergo nelle mostre, nei navigli, nello shopping, nell’aperitivo e negli amici! Quasi alla fine della lieta pausa dalla vita quotidiana, il mio amico Paolo, con sguardo sognante ed invidioso, mi chiede: “Ma tuo marito che sta facendo a Roma??? Sai che pacchia! Si starà facendo proprio una scorpacciata di situazioni!” A seguire: mugugno con sorriso!

Tima Dano